dimanche 18 novembre 2007

Be my guest - Vol. I




Punto della situazione.

La facoltà, avamposto senza tempo, tre anni letteralmente volati, colleghi che si avvicendavano come piani di studio. Chi non riusciva a galleggiare rinunciava ai buoni propositi maturati dopo il liceo, chi, come noi, cercava di tenere duro, rischiava di rimetterci neuroni, potenza sessuale e lavoro.
Dalla quarta lezione passò anche la voglia di ridere di quell’uomo. Correva voce, di fatto, che anni addietro avesse subito un delicato intervento al cervello. Alla notizia, letteralmente mi sentii un essere infimo, sentimento condiviso all’unanimità dai colleghi. Il corso si avviava alla conclusione e tutto, tranne lo studio ovviamente, pareva procedere a gonfie vele. La storia con Giorgia si era stabilizzata come l’elettroencefalogramma di un cadavere. Avevamo concordato che sarebbe stato meglio, per entrambi, ridurre la frequenza delle nostre uscite. Ognuno di noi doveva dedicare tempo a sé stesso, non rinunciare alla sua propria sfera privata, evitare di trascinare l’altro in un turbolento vortice depressivo.
Cominciavo, ciò nonostante, ad intuire qualcosa di strano, di latente, nel comportamento di lei. Sembrava mi nascondesse qualcosa, tramasse. Non le porsi alcuna domanda, se avesse avuto qualcosa da dirmi, avrebbe dovuto farlo di sua iniziativa. E poi non riuscivo a trovare il pretesto giusto per chiederle spiegazioni quanto la sua reticenza. Una riflessione sulla sua crisi familiare mi aiutò a metterci una pietra sopra e a continuare come se nulla fosse, pienamente persuaso che anche lei potesse avere liberamente i suoi dubbi e i suoi pensieri, e poterli non condividere con me. Ma era una sensazione strana quella che mi avvinghiava le viscere ottenebrandomi il karma. Credevo di star bene invece, vivevo una strana atmosfera di attesa, ma di che?
Il corso di Trip era oramai terminato, tutti prendemmo trenta, logicamente, data la situazione, senza soddisfazione alcuna. Eppure il mio cervello seguitava a ruminare strani pensieri, ancora poco chiari, poco definiti, in attesa di essere contornati.
Tanti pensieri in fila d’attesa, tutti col numeretto in mano, in procinto di essere destinati, ma dove?
La mia mente tornò a quell’interminabile girovagare dei primi due anni, trascorsi nel contempo da solo e con gli amici. Una doppia natura tornava a imperversare nel mio irto cammino. Una strada tortuosa senza pietre miliari. Il rumore dei miei piedi nudi sull’asfalto, buio pesto. Ad entrambi i lati del percorso, steppe interminabili, desolate, come i dedali della mia mente. Solo in mezzo a tanti amici. E in un momento di pace accademica e sentimentale, l’apatia implementò la sua influenza, avvinghiando ogni mio tentativo di riscatto e soffocandolo. Tentativi silvestri di sopravvivenza in giornate fatte di quesiti sull’identità oramai affidata a persone senza senno. Alla deriva come un vascello nelle acque tormentate dalla tempesta. Birra, fumo, birra e ancora fumo. Ogni tiro un pensiero diverso, incessante flusso di coscienza alimentato dall’incontro/scontro tra neuroni. Non potevo continuare a stare in casa, ero in preda a un vero e proprio delirium tremens introspettivo. Il mio cervello proiettava la mia figura in futuro remoto, lontano anni luce da quell’attuale locazione temporale. Vecchio e solo, non più ad Armungia, bensì in una palude senza tempo, retto da un bastone, a fissare il flusso continuo di un ruscello, con la voglia di morirci dentro, di essere trascinato dalla vita.
Mi rifilai uno schiaffo e cercai a fatica la porta d’ingresso di casa.
kekkochikachu.

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Nella foto in alto, consigli per il tempo libero.

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